sabato 8 gennaio 2011

- Una storia italiana - episodio 8: La scatola magica del Cavaliere.


FINALMENTE UNA TV LIBERA

Silvio Berlusconi capisce per primo che la nascita delle televisioni commerciali inaugura una nuova era nella comunicazione. Punta sui giovani e si impegna in una battaglia di libertà contro il monopolio RAI

La lunga sfida televisiva di Silvio Berlusconi contro il monopolio RAI è la storia di un grande successo imprenditoriale e anche la storia di una battaglia di libertà. La libertà di fare, finalmente, una televisione dove l’unico metro di giudizio valido fosse il gradimento del pubblico e non le pressioni e le costrizioni provenienti dai Palazzi del potere (PAROLE SANTE!). Logico che un simile intendimento trovasse tanti oppositori in un Paese dove il monopolio della Rai era considerato un dogma inattaccabile e la Rai stessa fungeva da braccio per la comunicazione e per la propaganda dei partiti, che consideravano la televisione pubblica “cosa loro” dove collocare parenti ed amici (è grazie ai governi Berlusconi che abbiamo avuto una netta inversione di rotta nella filosofia aziendale della Rai). Una prima spallata al monopolio venne dalla sentenza del 28 luglio 1976 con la quale la Corte Costituzionale sanciva la legittimità di trasmissioni da parte di emittenti private operanti a livello locale. A seguito di questa nuova situazione, Silvio Berlusconi dà vita nel 1978 a Telemilano, tv via cavo di Milano 2 che, due anni dopo, si trasforma in Canale 5, un network costituito da una serie di emittenti locali. Berlusconi comincia ad occuparsi personalmente della sua nuova creatura, e mette a segno il suo primo “colpo”: la trasmissione, in diretta in Lombardia e in differita nel resto d’Italia, delle partite del “Mundialito”. La costruzione di una concreta alternativa al monopolio Rai, però, non poteva prescindere da una condizione essenziale: la possibilità di trasmettere in contemporanea sull’intero territorio nazionale. È lo stesso Berlusconi a sottolinearlo in un’intervista del 22 aprile ’81: “Non si può fare vera televisione se non si è collegati in diretta con tutto il Paese e con il mondo”. E allora Berlusconi ha un’idea geniale. Registra su un “master”, in anticipo di un giorno, tutti i programmi, compresi gli spot pubblicitari, e invia il master con tutto il palinsesto di un’intera giornata alle televisioni locali che li trasmettono il giorno dopo in contemporanea. Per fare un esempio, “Buona Domenica”, la trasmissione dei pomeriggi domenicali viene registrata il sabato. Nello studio un grande cartello ricorda a tutti “oggi è domenica” e quando il programma va in onda la domenica alla stessa ora su tutte le televisioni locali, si ha l’impressione che sia in diretta (un'idea a dir poco rivoluzionaria!). È una diretta virtuale che può far concorrenza ai programmi della Rai e consente altresì agli inserzionisti pubblicitari di controllare per la prima volta l’“audience” nazionale dei loro spot sulle televisioni commerciali e quindi di giudicare la convenienza del loro investimento sul nuovo mezzo. Davvero geniale. Ma la Rai insorge e fa causa a Berlusconi accusandolo di aver costruito “contra legem” una rete nazionale “in diretta”. Berlusconi invoca il principio liberale secondo cui un cittadino può fare tutto ciò che non è espressamente proibito dalla legge. La Rai, e con la Rai la maggioranza dei partiti, afferma il contrario e cioé che un cittadino può fare solo ciò che la legge espressamente consente. La lotta contro il monopolio Rai diventa una battaglia di libertà, una battaglia contro lo statalismo e la coercizione ingiusta che lo Stato pretende di esercitare sui suoi cittadini. La battaglia si trasforma in una guerra a tutto campo, intervengono i pretori e oscurano le televisioni, i fedelissimi di Canale 5 scendono in piazza, il Governo e il Parlamento sono costretti ad intervenire per riaccenderle. Intanto l’arrivo sulla scena di Berlusconi, la nascita della prima catena televisiva commerciale nazionale e di Publitalia (la concessionaria di pubblicità), alla fine del 1980, aveva provocato una vera rivoluzione. Finalmente le aziende avevano a disposizione un nuovo mezzo, finalmente era possibile evitare umiliazioni e soprusi, finalmente era consentito non solo di espandere la produzione, ma anche di creare prodotti nuovi con la certezza di avere a disposizione il mezzo giusto per lanciarli sul mercato, per farli conoscere, per verificare in poco tempo il gradimento dei consumatori. “Qualcuno – ricordava Berlusconi ai suoi inserzionisti – vorrebbe far tornare la televisione italiana indietro di molti anni. Vi ricordate a cosa eravate costretti per ottenere uno spazio dalla Rai, per passare con la vostra pubblicità su ‘Carosello’? Vi ricordate i tempi, per fortuna lontani, in cui il famoso colonnello Fiore (il presidente della concessionaria della pubblicità Rai n.d.r.) vi metteva in fila davanti al suo ufficio, senza darvi nemmeno la certezza di ricevervi? E solo chi aveva certe entrature politiche ed era disposto a generosi investimenti sui giornali dei partiti riusciva ad ottenere gli spazi pubblicitari?”

La resistenza dei difensori del vecchio ordine televisivo è accanita. Sono anni di ostacoli e di agguati giocati a cavallo tra i banchi del Parlamento e l’aula dell’Alta Corte, tesi a imbavagliare la tv berlusconiana. “Ci pesava molto – ammette Berlusconi – la minaccia della Corte Costituzionale. È stato un periodo durissimo, la nostra sopravvivenza era continuamente minacciata. La Rai, la sua potentissima lobby, tutti gli editori della carta stampata, invidiosi dei nostri fatturati pubblicitari, volevano buttarci fuori dal mercato, annientarci, cancellarci. Ma siamo riusciti a sopravvivere. Abbiamo resistito, abbiamo lavorato sodo, abbiamo ottenuto risultati fantastici”. Gli italiani in effetti sono con Berlusconi e decretano, di fatto, prima ancora che intervenga il legislatore, la fine del monopolio pubblico. Nel 1991 Canale 5, Italia 1 e Retequattro ottengono finalmente l’autorizzazione alla trasmissione in diretta (la battaglia per la Libertà, la prima di tante che verrano in seguito, è vinta. Silvio è libero! E lo è ancora oggi...). L’anno dopo vengono rilasciate le concessioni per le tre reti nazionali ma Rai e sinistra non demordono ancora e presentano dei referendum sul sistema delle TV che hanno lo scopo di colpire il Berlusconi editore televisivo e il Berlusconi avversario politico (sempre a beneficio degli smemorati: nel 1992 Berlusconi non è ancora "avversario politico" di nessuno, giacchè lui stesso ha raccontato in molteplici occasioni che la sua "discesa in campo" avvenne nel 1994 e fu decisa nel 1993. Oppure, molto più semplicemente, nel '92 era un "avversario politico preventivo" della sinistra). Ma vengono sonoramente sconfitti dal voto degli italiani, che evidentemente vogliono essere liberi di scegliersi la televisione e i programmi che preferiscono. Magari anche il Presidente del Consiglio e il Governo da cui vogliono essere governati (e magari anche poter cambiare governo con un telecomando...).


LA SCATOLA MAGICA DEL CAVALIERE

Il motivo dei successi di ascolto delle televisioni Mediaset? Anche aver puntato sul rapporto diretto con il pubblico attraverso i volti più noti e simpatici. In oltre vent’anni di vita, le reti del “Biscione” hanno portato nelle case degli italiani migliaia di ore di programmi, con un’offerta ricca e articolata che spazia dalla fiction all’informazione, dall’intrattenimento allo sport. Dagli schermi di Canale 5, Italia 1 e Retequattro hanno parlato e sorriso agli italiani personaggi vecchi e nuovi che sono diventati “veri e propri amici di famiglia”. Tentare di stilare un elenco completo di questi personaggi sarebbe impresa impossibile. Ma anche volendone ricordare solo alcuni, non si può che cominciare da Mike Bongiorno (che per mesi, prima di morire, chiese di poter incontrare il suo amico Silvio, ma la sua richiesta non fu mai soddisfatta...), autentica icona della tv nazionale. “Supermike” fu infatti tra i primi, sul finire degli anni ’70 (quando Canale 5 si chiamava ancora Telemilano), a credere al sogno berlusconiano tra l’incredulità dei più. Durante il decennio successivo, ecco trovare spazio tanti altri beniamini del pubblico, da Gerry Scotti (1983) a Marco Columbro (1984), da Iva Zanicchi con il suo “Ok, il prezzo è giusto” fino alla coppia Raimondo Vianello e Sandra Mondaini, a Massimo Boldi, Ezio Greggio, Lorella Cuccarini. Per non parlare di Maurizio Costanzo, conduttore del più longevo e seguito talk-show della tv italiana. E poi per l’informazione Emilio Fede, Enrico Mentana e Paolo Liguori. Al primo, che con il suo Tg4 ha creato un telegiornale personalizzato e diverso (talmente personalizzato e diverso che risulta difficile definirlo ancora "telegiornale"...), è legata la storica “diretta” in occasione dello scoppio della Guerra del Golfo (16 gennaio ’91), che segnò di fatto la fine del monopolio Rai sull’informazione televisiva. Mentana, al timone del Tg5 fin dalla prima edizione nel 1992, ha dato vita a una testata in grado di contendere con successo al Tg1 il suo storico primato in termini di ascolti e di autorevolezza. Gli anni ’90 portano nelle case degli italiani i volti di Paolo Bonolis, Maria De Filippi, Enrico Papi, Luca Laurenti, Claudio Lippi, Davide Mengacci, Simona Ventura, Paola Barale (tutte persone di cui si sentiva un assoluto bisogno!), la scanzonata brigata della Gialappa’s Band e il nuovo sorridente “guru” della divulgazione scientifica sul piccolo schermo, Alessando Cecchi Paone. E non c’è sufficiente spazio per parlare di Antonio Ricci e di Striscia la notizia, il più travolgente successo nella storia della televisione italiana.




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